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BLOG: LA CHIMICA E LA SOCIETA'

Syndicate content La Chimica e la Società
Nell’Antropocene, l’epoca geologica attuale fortemente caratterizzata dalle attività dell’uomo, la Chimica ha il compito di custodire il pianeta e aiutare a ridurre le diseguaglianze mediante l’uso delle energie rinnovabili e dell’economia circolare.
Updated: 1 day 2 hours ago

La sentenza ENI

25 July, 2025 - 08:03

Luigi Campanella, già Presidente SCI

 Cittadini, associazioni e attivisti hanno sfidato un colosso come ENI e le istituzioni che lo sostengono: sembrava una lotta impari,ma hanno vinto, ottenendo dalla Cassazione l’ammissione del loro ricorso.

Viene riconosciuta la giurisdizione dell’autorità giudiziaria italiana che ora dovrà esprimersi nel merito, come già avviene in altri paesi europei.Le Sezioni Unite della Cassazione hanno stabilito che anche in Italia si possono istruire le cause climatiche. Lo storico pronunciamento della Suprema Corte, che come è risaputo fa giurisprudenza, ha confermato che spetta al giudice civile decidere sui danni ai diritti umani provocati dalle emissioni climalteranti delle aziende fossili.

La Sentenza fa riferimento a comportamenti e scelte di ENI che contrastano con l’Accordo di Parigi entrato in vigore il 4 novembre 2016, dopo l’adempimento della condizione di una sua ratifica da parte di almeno 55 paesi che rappresentassero almeno il 55% delle emissioni globali di gas a effetto serra.

Ma la Sentenza è storica anche perché è espressione dalla corretta interpretazione dei propri ruoli da parte della Politica e della Magistratura.

La politica fa le leggi in difesa dei cittadini e delle risorse comuni, ma se poi tali leggi non vengono rispettate procurando danni all’ambiente e/o ai cittadini è compito della Magistratura intervenire per punire i trasgressori.

Si entra così in una storica ambiguità circa le leggi e le norme ed il fatto che possono essere le più belle del mondo ma se non vengono rispettate sono assolutamente inutili. In questo caso il mancato rispetto riguarda come detto, l’accordo di Parigi per un impegno che mantenga entro 2 gradi l’innalzamento della temperatura media del Pianeta rispetto all’era preindustriale.

Le Sezioni Unite civili hanno così accolto il ricorso per regolamento di giurisdizione presentato da Greenpeace Italia, ReCommon e 12 cittadine e cittadine che nel maggio del 2023 avevano avviato una causa, da loro ribattezzata la “Giusta Causa”,* contro il gigante petrolifero italiano ENI affinché sia imposto alla società di rispettare l’Accordo di Parigi. In punta di diritto.

È stato così escluso che nella materia possa essere invocato un “difetto assoluto di giurisdizione”, nel senso che nessun giudice italiano avrebbe potuto decidere sulle cause climatiche, come obiettavano ENI e i suoi azionisti di maggioranza relativa.

https://www.ilpost.it/2025/07/23/eni-stato-processabili-danni-cambiamento-climatico-italia-cassazione/

In ricordo di Lucio Russo.

19 July, 2025 - 13:49

Claudio Della Volpe

Pochi giorni fa il 12 luglio ci ha lasciati Lucio Russo, uno dei più importanti intellettuali italiani.

Quando questo blog era ancora giovane (adesso ha 13 anni) scrissi su di lui, che era venuto a Trento ad inaugurare l’anno accademico di Lettere. Lucio era un fisico matematico, ma credo si facesse beffe delle differenze fra le due culture, nel senso che era ferratissimo nell’umanesimo, era un uomo di cultura, un vero intellettuale.

Se andate a rileggervi il mio post del 2013, troverete che parla di Chimica e dell’origine della Chimica a partire dalla maggiore scoperta di Lucio, fisico matematico ed esperto di meccanica statistica, ossia la riscoperta della cultura alessandrina e delle molteplici scoperte che quella cultura ha prodotto e che sono state poi dimenticate e riscoperte dopo oltre 1000 anni!!!

Si può dire a ragione che alla base del Rinascimento italiano e alla grandezza di molti intellettuali del 1500-1600 c’è l’apporto diretto degli intellettuali cacciati da Costantinopoli e dei libri rubati dopo la caduta della città (1453) ad opera degli ottomani, ma anche depositari dei testi originali della cultura alessandrina; alcuni dei grandi classici alessandrini furono riscoperti e redistribuiti a partire dal mercato di Costantinopoli, come narra Russo nei suoi testi.

Ovviamente la storia non si può inventare ma sta di fatto che alcune grandi idee del periodo alessandrino hanno giaciuto nascoste ai più e hanno dovuto aspettare la rivoluzione scientifica per tornare alla luce.

Cito per esempio il termoscopio, inventato da Filone di Bisanzio nel III sec aC.

A proposito della Chimica mi autocito dal mio post del 2013

La rivoluzione dimenticata, nel quale nel capitolo 5 analizza alcune discipline così come si erano sviluppate nella scienza ellenistica, attorno al III secolo a.C.

Russo mi racconta come nel capitolo 5 si faccia notare come Zosimo di Panopoli, che è considerato uno dei primi chimici (ma siamo già nel 4 sec. DOPO Cristo) sia in effetti un alchimista e ragioni come tale e che occorra, per ricostruire la storia della Chimica dipanare l’alchimica che è venuta DOPO dalla chimica empirica del periodo alessandrino. In Zosimo si incontrano ripetutamente, nella descrizione di apparecchi e procedure di laboratorio, nomi greci degli apparecchi, termini magici egiziani e riferimenti generali al giudaismo, tanto che Maria la Giudea, sorella di Mosè è ritenuta l’iniziatrice; in realtà, dice Russo, questo tripartitismo della lingua rinvia ad Alessandria, la città multilingua dove le tre culture si incontrarono. Altri testi famosi, come quello di Bolo Democrito di Mendes o il più antico papiro di Leyden e di Stoccolma (che risale al IV sec. aC) non contengono in effetti nulla di alchemico ma elenchi di modi e procedure per produrre cose, soprattutto colorate. Questo suggerisce che l’interesse alessandrino fosse in questo settore; Plinio e Vitruvio con riferimento agli alessandrini parlano di pigmenti colorati di origine sia naturale che artificiale.

C’è di più. Gli Stoici, come Crisippo (II sec dC) hanno già chiara la distinzione fra materiali omogenei ed eterogenei e singoli composti. Con estrema chiarezza Stobeo, con riferimento agli Stoici distingue e definisce fra miscela e soluzione ed ancora fra composto frutto di una reazione, usando tre distinti termini per ciascuno dei casi.

Ma c’è molto di più; e questa è una vera chicca: la idea moderna di molecola ha un precedente alessandrino!

Sesto Empirico parla dell’ oncos (öγκοσ) che è una entità, che pur costituendo il componente ultimo delle cose, a differenza dell’atomo è capace di trasformarsi attraverso la riorganizzazione delle sue parti. Ora nei testi latini il termine oncos è tradotto sistematicamente mole, nel senso di quantità e nel testo di Boyle in cui si introduce modernamente l’idea di molecola (Chymista Scepticus) si fa continuamente riferimento alle idee degli Scettici di cui Sesto Empirico è il nostro essenziale riferimento.

Nel papiro di Leyden e Stoccolma quando si parla di procedure chimiche si fa riferimento alle parti degli ingredienti da mescolare, e quindi alle loro proporzioni. Nella Vita di Demonatte di Luciano si dice ad un certo punto: “quanto fumo otterai da una certa quantità di legno?”; la risposta è “pesa le ceneri e la differenza fra legno e ceneri ti darà il fumo”; ora- dice Russo- a parte l’errore legato al trascurare l’ossigeno, la questione è perché farsi questa domanda se non come riferimento ad una teoria di conservazione della massa (idea che per esempio Lucrezio nel De Rerum accetta senza tema) di precedente origine.

E ce ne sono ancora altri di riferimenti nel testo di Russo, insomma abbastanza per ripensare al modo in cui presentiamo l’origine delle idee della Chimica; verosimilmente GIA’ la Chimica alessandrina aveva l’idea di molecola, di reazione chimica e di composto molecolare, tutte idee che noi attribuiamo alla scienza moderna.

Insomma ce n‘è abbastanza per ripensare completamente l’origine della Chimica e la sua storia; concludo ancora ri-citando la posizione di Russo sul rapporto fra le due culture che secondo me è l’unico modo per superare le presenti difficoltà didattiche e culturali a scuola e non solo in Italia: ricostruire l’unità del sapere a partire dalla Storia.

La storia della Chimica è un buon punto di partenza per qualunque insegnamento di Chimica; ripartire anche qui dai nostri antenati, dalla grotta oscura di Blombos dove un chimico primitivo per primo formulò coloranti oltre 100mila anni fa.

Bibliografia di Lucio Russo

  • La Rivoluzione dimenticata, Feltrinelli, 1996 (III ed. ampliata 2003).
  • Segmenti e bastoncini, Feltrinelli, 1998.
  • Scienza, cultura, filosofia, CRT, 2002, in collaborazione con Massimo Bontempelli e Marino Badiale.
  • Flussi e riflussi: indagine sull’origine di una teoria scientifica, Feltrinelli, 2003.
  • La cultura componibile, dalla frammentazione alla disgregazione del sapere, Liguori, 2008.
  • Archimede. Massimo genio dell’umanità, Canguro, 2009 (dalla collana per ragazzi Iniziatori).
  • Ingegni minuti. Una storia della scienza in Italia, con Emanuela Santoni, Feltrinelli, 2010.
  • L’America dimenticata. I rapporti tra le civiltà e un errore di Tolomeo, Mondadori, 2013.

L’aroma del riso.

15 July, 2025 - 14:19

Claudio Della Volpe

Il riso viene prodotto in tutto il mondo in ragione di poco meno di mezzo miliardo di tonnellate all’anno, ed è il cibo più comune al mondo.

Eppure ditemi voi quanti hanno sentito parlare dell’aroma del riso; intendo qui da noi.

Noi italiani non siamo, dopo tutto, grandi consumatori di riso; fra i produttori l’Italia si trova al 31° posto al mondo, preceduta da altri paesi dell’Asia, dell’America Latina e dell’Africa, confermandosi però al primo posto assoluto in Europa: tra gli altri paesi europei compaiono in 39° posizione la Spagna e in 61° posizione la Grecia. Come consumatori invece siamo a 6kg/procapite (contro per esempio i quasi 30 di pasta); per capirci la media mondiale è rimasta stabile intorno ai 53.9 kg dal 2000, con picchi di oltre 100kg/pro capite in alcuni paesi del sud est asiatico.

Insomma importanti nel contesto europeo, ma piccoli sul piano mondiale; il che spiega perché dopo tutto parlare di aroma del riso non è banale, mentre ci crediamo grandi esperti per via della tradizione del risotto.

Questo post nasce come spesso accade da una esperienza familiare; mi alzo la mattina e sento un odore di pop-corn, provenire dalla cucina; mi avvicino speranzoso, ma trovo una pentolina ormai spenta con del riso nero integrale già cotto, che sta raffreddandosi; mia moglie, che è la cuoca di casa, per evitare il caldo cucina sul presto ed oggi ha deciso di fare una insalata di riso nero integrale, prodotto al 100% in Italia.

L’odore è quello del pop-corn ma la realtà è diversa.

La cosa mi incuriosisce dato non è la prima volta che lo sento, ma stavolta non demordo finche non trovo la ragione, che sta in un lavoro pubblicato ormai oltre 40 anni fa, ed è la molecolina qui sotto:

Skeletal formula of 2-acetyl-1-pyrroline2-acetil-1-pirrolina o 2-AP

(ATTENZIONE: la pirrolina NON è un composto aromatico* come invece il pirrolo )

Fate caso al titolo del lavoro citato nelle note: “cooked rice”, non si tratta di un aroma del riso al naturale ma di un aroma del riso DOPO averlo cucinato, come dopo tutto succede col pop-corn.

L’anello pirrolinico rende il composto altamente instabile. È il principale composto aromatico e gustativo presente nel riso profumato e responsabile dell’aroma “popcorn” nei prodotti alimentari. Ha una soglia di odore molto bassa (0,1 μg kg-1 ) in acqua e di conseguenza può essere rilevato dal naso umano a concentrazioni molto basse.

Dopo la sua scoperta da parte di Buttery la 2-AP è stata ritrovata in un numero elevato di sistemi biologici sia piante che animali (è un feromone per la tigre!! ed è presente nell’urina del binturong), sia batteri che funghi; si trova in numerosi cibi cotti.

Binturong o gatto orsino.

La specie che lo contiene in maggiore quantità è la pianta Pandanus Amaryllifolius (nelle foglie fresche), originaria delle Molucche ed usata per fare cesti che possono essere usati per contenere e cuocere/aromatizzare il cibo ma anche per scacciare gli scarafaggi.

La via biosintetica è complessa ed è riportata qui sotto:

Come potete osservare l’ultima fase è una reazione non enzimatica.

Nel riso in particolare 2-AP non è presente in alta concentrazione, ma è presente a tassi anche decine di volte inferiori rispetto al Pandano fresco; dunque come mai si sente così bene il suo odore in fase di cottura?

La spiegazione risiederebbe nel processo cosiddetto di gelatinizzazione dell’amido del riso; e qua devo per forza cercare di sintetizzare.

L’amido è composto da due polisaccaridi principali, l’amilosio e l’amilopectina, che si presentano in granuli con una struttura cristallina. 

Quando i granuli di amido vengono riscaldati in acqua, le molecole di acqua penetrano all’interno dei granuli, rompendo i legami tra le molecole di amido, causandone il rigonfiamento. 

Il rigonfiamento porta alla perdita della struttura cristallina e alla formazione di una massa gelatinosa, dove l’amilosio e l’amilopectina formano legami con le molecole d’acqua. 

La gelatinizzazione è un passaggio chiave nella cottura degli alimenti che contengono amido, come pasta, riso, patate e farine, e nella preparazione di prodotti da forno. 

Al momento della gelatinizzazione tutti i composti contenuti nella massa e volatili vengono rilasciati; fra di essi si trova la 2-AP in quantità tale da essere recepito dai nostri sensi; questo spiega perché ce la troviamo letteralmente dentro al naso quando cuciniamo il riso nero (ma anche il basmati o altri risi aromatici che sono chiari). Nel caso del pop-corn la concentrazione originale è ancora più bassa, poche decine di microgrammi/kg, ma la temperatura di trattamento più alta.

Dunque così spieghiamo anche perché lo sentiamo nonostante sia presente in piccola quantità nel cibo originale.

In chiusura devo aggiungere una ulteriore strada di formazione della 2-AP legata alla cottura come tale.

È stato dimostrato che la 2-acetil-1-pirrolina si forma anche nella reazione di Maillard (le reazioni della cottura del cibo che portano al suo imbrunimento); può formarsi dalla reazione tra prolina (un amminoacido) e cosiddetti zuccheri riducenti/prodotti di degradazione degli zuccheri al riscaldamento

Ricordiamo infine che sebbene vi sia un elevato interesse commerciale per il 2-AP a causa dei suoi desiderabili attributi sensoriali, l’instabilità di questo composto (non è un composto aromatico e dunque non è stabilizzato dall’aromaticità) è un problema significativo per la sua applicazione commerciale. Il 2-AP puro diventa rosso e si degrada entro 10 minuti a temperatura ambiente e si verifica una significativa riduzione a breve termine della concentrazione di 2-AP nei prodotti alimentari, come i popcorn e il riso profumato crudo (quindi se volete sentire la sua presenza non aspettate che il riso raffreddi).

Consultati

https://scijournals.onlinelibrary.wiley.com/doi/10.1002/jsfa.7875  racconta la storia della 2-acetil-1-pirrolina

https://www.georgofili.info/contenuti/profumo-di-riso/4064

https://it.wikipedia.org/wiki/Pirrolina

https://en.wikipedia.org/wiki/2-Acetyl-1-pyrroline

Non ho potuto consultare il lavoro originale del 1982 Buttery RG, Ling LC and Juliano BO, 2-acetyl-1-pyrroline: An important aroma component of cooked rice. Chem Ind (London UK) 12:958–959 (1982) che mi è risultato citatissimo ma introvabile ed è ad esso che risale la scoperta del ruolo aromatico della 2-AP.

*Una nota finale per i non chimici; l’aromaticità NON è l’aroma ma l’esistenza di doppi-legami coniugati ossia alternati con legami singoli in un composto ad anello planare.

Qui sotto aggiungo alcune foto mandate dal collega Matteo Guidotti da Kuala Lampur (congresso IUPAC); il nostro speciale inviato Guidotti che ha anche commentato il testo ci fa vedere cosa si da con le foglie di pandano, Pandanus Amaryllifolius;

Questa con il riso è, il Nasi Pandan, (foglie di pandano con le frecce rosse);

la serie di cilindretti è un banchetto di dolci a base di cocco zucchero di palma e
pandan;

infine quelle nella busta sono le foglie, fotografate al supermercato.

Situazione PFAS.

11 July, 2025 - 09:51

Claudio Della Volpe e Luigi Campanella

Facciamo il punto sulla situazione PFAS.

Anzitutto quanti composti organo-fluorurati esistono in natura?

Poco più di venti.

Invece gli uomini ne hanno sintetizzato oltre 20 milioni, dei quali oltre 7 sono definibili come PFAS a norma della definizione proposta dall’OECD nel 2023.

The Chemical Definition of PFASs according to OECD

PFASs are defined as fluorinated substances that contain at least one fully fluorinated methyl or methylene carbon atom (without any H/Cl/Br/I atom attached to it), i.e., with a few noted exceptions, any chemical with at least a perfluorinated methyl group (CF3) or a perfluorinated methylene group (CF2) is a PFAS.

(traduzione: Definizione chimica dei PFAS secondo l’OCSE

I PFAS sono definiti come sostanze fluorurate che contengono almeno un atomo di carbonio metilico o metilenico completamente fluorurato (senza alcun atomo di H/Cl/Br/I attaccato ad esso), vale a dire, con alcune eccezioni, qualsiasi sostanza chimica con almeno un gruppo metilico perfluorurato (-CF3) o un gruppo metilenico perfluorurato (-CF2-) è un PFAS.

Al 1° luglio 2025, PubChem conteneva 119 milioni di composti chimici unici, di cui oltre 20milioni fluorurati e oltre 7 milioni rispondevano alla definizione OECD di PFAS.

Uno potrebbe chiedersi come mai questa abissale differenza fra la Natura e l’uomo?

La letteratura scientifica dà una risposta possibile, chiedendosi se questo numero così basso abbia una giustificazione chimica e rispondendosi di si.

E’ vero che il legame C-F è il legame organico singolo più forte, ma c’è una fortissima barriera di potenziale per la reazione di formazione del legame e dunque tale legame è poco favorito in qualunque catena reattiva. In un lavoro dedicato all’abbondanza presunta universale di tale legame gli autori scrivono:

Di conseguenza, il bilancio evolutivo complessivo costi-benefici dell’incorporazione del legame C-F nel repertorio chimico della vita non è favorevole. Noi sosteniamo che le limitazioni della chimica organo-fluorurata sono probabilmente universali, in quanto non si applicano esclusivamente a specifiche della biochimica terrestre. I legami C-F, quindi, saranno rari nella vita oltre la Terra, indipendentemente dalla sua composizione chimica

Queste le ragioni della scienza.

Ma quelle della chimica industriale dominante e del profitto a breve termine basato su una concezione privatistica delle cose, della Natura, della vita e di tutto sono diversi.

La scelta di introdurre anche il solo gruppo -CF3 o -CF2 ha vantaggi immediati notevoli poiché riduce il catabolismo e rinforza e prolunga la durata di azione delle molecole. Il gruppo CF3 è particolarmente idrofobico e stabile.

Abbondanze elementari tra i prodotti naturali (NP). Sono indicati il numero di prodotti naturali nel nostro database contenenti un determinato elemento e la percentuale. I composti contenenti gli atomi alogeni Cl- e Br sono quasi altrettanto comuni dei composti contenenti S tra i prodotti naturali. Al contrario degli alogeni Cl, Br e persino I, i composti naturali contenenti F sono gravemente sottorappresentati nel repertorio chimico della vita sulla Terra. La compilazione della figura mostra solo gli elementi che possono formare legami covalenti stabili in acqua. La compilazione esclude dall’analisi i metalli di transizione. (figura estratta dal lavoro sulla rarità dei composti fluorurati)

Esistono molte comuni molecole che sotto forma di farmaco, per esempio, sono però PFAS a tutti gli effetti. Ve ne facciamo una breve lista:

il prozac, Fluoxetina

il fluorochinolone, un antibiotico

il flurbiprofene, un comune FANS (antiinfiammatori non-steroidei)

la trifluridina/tipiracil (Lonsurf), un recente antitumorale

Desflurano, Sevoflurano, Isoflurano. tre anestetici inalatori

la Cilnidipina, un calcioantagonista usato come anti-ipertensivo.

Nel caso dei farmaci si potrebbe obiettare che molti di essi sono salvavita; e questo può essere; ma il criterio con cui i nuovi farmaci sono messi sul mercato indebolisce questo ragionamento; come racconta nel suo bel libro (Farmaci. Luci ed ombre) Silvio Garattini la logica del mercato farmaceutico NON è immettere nuovi farmaci SOLO se sono migliori degli esistenti, ma immettere nuovi farmaci se funzionano, consentendo a chi li inventa di godere del beneficio del brevetto e, tramite investimenti di vario tipo, spingerne il consumo. Ne segue che non sappiamo se quei farmaci che abbiamo elencato sono veramente il meglio dei loro settori; alcuni di essi sono importanti di sicuro (sul fluorochinolone ci abbiamo scritto un recente post); ma spesso potrebbero essere sostituiti senza colpo ferire.

Con il vantaggio di non immettere in natura molecole estremamente resistenti alla distruzione e che si accumulano nell’ambiente con effetti imprevedibili su di noi o su altre specie viventi (per esempio si vedano gli effetti ambientali della fluoxetina).

La questione tuttavia ha solo un aspetto etico perché al momento i farmaci (e i fitofarmaci), seppur PFAS ai sensi della definizione, non sono oggetto di restrizione (e quindi di discussione al momento in ECHA) perché hanno un iter autorizzativo autonomo.

Ancora peggiori sono le strategie di scelta delle nuove molecole nel caso di una molecola o un materiale usato in altri settori non della salute, come avviene nella maggior parte dei casi documentati di inquinamento, che ormai comprendono perfino l’acqua potabile.

A partire da questa strategia “privata” chiusa sul proprio ombelico, si è ormai stabilita una frattura all’interno dello stesso mondo scientifico.

Da una parte c’è chi vorrebbe che IUPAC desse una definizione propria di PFAS, dall’altra dato che quella esistente è già stata analizzata in ambito scientifico c’è un nutrito gruppo di colleghi che teme che questo sia solo una sorta di sotterfugio per aprire la strada a una situazione meno gestibile, meno chiara.

Dunque negli ultimi mesi abbiamo avuto prima una attività IUPAC a dicembre  2024 un congresso organizzato dal collega Metrangolo  di Polimi denominato “1st IUPAC Workshop on PFAS Terminology“; e dall’altra la recente pubblicazione di un articolo firmato da ben 13 colleghi esperti del settore provenienti da tutto il mondo, che tramite la rivista dell’ACS Environmental Science & Technology Letters hanno rivolto un appello a NON cambiare le regole di denominazione, temendo appunto che qualunque cambiamento possa essere il prodromo di una situazione poco gestibile in questo delicato momento in cui a livello internazionale si discute di una strategia per far fronte ai pericoli ormai conclamati e riconosciuti da varie magistrature (i responsabili dell’inquinamento veneto di PFAS sono stati condannati in 1° grado pochi giorni fa) dell’uso disinvolto e pluridecennale di questi composti contro i quali non esistono a tuttoggi strategie di ricerca e di eliminazione completamente efficaci e ben fondate.

Per l’Italia ha partecipato al lavoro in qualità di autrice una delle personalità scientifiche più complete su questa vicenda, la collega Sara Maria Valsecchi dell’IRSA-CNR di Brugherio.

Riportiamo alcuni brani del lavoro.

I sottoscritti sono scienziati esperti in sostanze per- e polifluoroalchiliche (PFAS) e/o nella gestione delle sostanze chimiche. Affermiamo che la definizione di PFAS dell’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE) è scientificamente fondata, inequivocabile e adatta a identificare queste sostanze chimiche. Siamo preoccupati che alcuni individui e organizzazioni stiano cercando di ridefinire i PFAS approvati dall’Unione Internazionale di Chimica Pura e Applicata (IUPAC) per escludere alcuni sottogruppi chimici fluorurati dall’ambito della definizione esistente. Siamo preoccupati che questo sforzo sia politicamente e/o economicamente motivato, piuttosto che scientificamente. Una definizione di PFAS approvata dalla IUPAC e potenzialmente più ristretta potrebbe conferire un’indebita legittimità all’approvazione da parte di un’organizzazione scientifica globale riconosciuta e, in tal modo, influenzare gli organismi di regolamentazione e altri ad adottare politiche meno protettive.

…..

I PFAS sono definiti come sostanze fluorurate che contengono almeno un atomo di metile o di carbonio di metilene completamente fluorurato (senza alcun atomo di H/Cl/Br/I attaccato ad esso), vale a dire, con poche eccezioni note, qualsiasi sostanza chimica con almeno un gruppo metilico perfluorurato (-CF 3 ) o un gruppo metilenico perfluorurato (-CF 2 -) è un PFAS.

La definizione dell’OCSE è stata sviluppata per rispondere alle preoccupazioni secondo cui alcune sostanze contenenti frazioni completamente fluorurate erano escluse da una precedente definizione di PFAS sviluppata da Buck et al. (2) Tali sostanze comprendevano, ad esempio, gli acidi perfluoroalchildicarbossilici con gruppi acidi su ciascuna estremità della catena del carbonio perfluorurato e le sostanze con anelli aromatici e frazioni perfluoroalchiliche. La definizione dell’OCSE ha colmato questa lacuna ed è chimicamente inequivocabile e adatta per classificare le sostanze chimiche come PFAS.

…..

Gli organismi governativi e intergovernativi, nonché le altre parti interessate, dovrebbero continuare a utilizzare la definizione chimica univoca ed efficace di PFAS fornita dall’OCSE per identificare i PFAS. Si tratta di una questione separata su ciò che è e non è incluso dalle giurisdizioni per specifici scopi normativi o di elaborazione delle politiche, come raccomandato anche dall’OCSE. (1) Ad esempio, sebbene entrambi si basino sulla definizione dell’OCSE, l’attuale approccio canadese basato sui PFAS di gruppo (4) esclude i fluoropolimeri nella sua azione attuale, mentre la proposta di restrizione dei PFAS basata sui gruppi nell’UE include deroghe limitate nel tempo, ad esempio per gli usi nei prodotti medici, ed esclusioni del piccolo sottogruppo dei PFAS completamente mineralizzabili. (5) Analogamente, i pesticidi, i prodotti farmaceutici e i gas fluorurati sono stati regolamentati o gestiti separatamente dagli altri PFAS in molte giurisdizioni. Ciò non li esonera dal soddisfare la definizione chimica di PFAS.

……

L’introduzione di una definizione alternativa o concorrente di PFAS per l’identificazione generale dei PFAS che includa considerazioni che vadano oltre la struttura chimica è preoccupante. Può essere utilizzato da alcune parti con interessi acquisiti per influenzare le normative e, quindi, quali PFAS possono essere utilizzati, emessi e presenti nei prodotti e negli ambienti. Causerà inoltre una sostanziale ambiguità e confusione nelle discussioni internazionali e potrebbe portare a incongruenze giurisdizionali e contraddizioni non necessarie nelle normative e nell’azione in materia di PFAS. Ciò contrasterà l’auspicata armonizzazione tra le giurisdizioni che andrebbe a vantaggio di coloro che regolano, producono e/o utilizzano PFAS, nonché dell’esposizione umana e ambientale. Inoltre, poiché i metodi per monitorare la conformità e l’applicazione sono adattati alle normative, le modifiche alla definizione rallenteranno la continua standardizzazione dei metodi. ….

Riteniamo pertanto che la definizione univoca dell’OCSE debba costituire la base generale per una regolamentazione armonizzata. I responsabili politici possono prevedere esenzioni giustificate per scopi specifici senza modificare la definizione generale di ciò che costituisce un PFAS. Non ci sono prove che indichino che la definizione dell’OCSE sia errata o problematica e, quindi, non c’è bisogno di una nuova definizione di PFAS.

(i corsivi sono nostri)

Consultati:

https://www.sciencedirect.com/science/article/abs/pii/S0022113999002018  lavoro datato ma citatissimo sui composti naturali contenenti fluoro

https://www.nature.com/articles/s41598-024-66265-w   le ragioni della rarità dei composti fluorurati sulla Terra e altrove

https://pubs.acs.org/doi/10.1021/acs.estlett.5c00478  il lavoro di Sara Valsecchi ed altri che chiede di non cambiare le regole di denominazione

https://www.isde.it/wp-content/uploads/2019/05/2019.04.09-Position-Paper-PFAS.pdf  position paper ISDE sui PFAS; avremmo potuto farne uno anche noi come SCI, ma nonostante gli sforzi non ci siamo riusciti, peccato.

La cottura periodica: l’uovo perfetto!

6 July, 2025 - 09:18

di Nunzia Iaccarino*

Chi non ha mai provato a cuocere un uovo alla perfezione? Croce e delizia dei cuochi, amatoriali e professionisti, le uova sono ingredienti semplici solo in apparenza. C’è chi le preferisce alla coque, chi sode, chi ama la consistenza “cremosa” del tuorlo tipica della cottura a bassa temperatura. Ma c’è un problema cruciale che la scienza conosce bene: l’albume e il tuorlo richiedono temperature diverse per cuocere in modo ottimale. Fino ad oggi, questa differenza obbligava a scendere a compromessi sul risultato finale. Un recente studio condotto da un team di ricercatori dell’Università degli Studi di Napoli Federico II guidati da Ernesto Di Maio con Emilia Di Lorenzo del Dipartimento di Ingegneria Chimica, dei Materiali e della Produzione Industriale, Antonio Randazzo del Dipartimento di Farmacia e Pellegrino Musto dell’Istituto di Chimica e Tecnologia dei Polimeri (ICTP) CNR

 ha però dimostrato che, con un approccio ingegneristico e una buona dose di modellazione matematica, è possibile cuocere l’uovo… in modo perfetto.

Cottura Periodica: l’uovo a due temperature senza romperlo

Il lavoro pubblicato su Communications Engineering [1], presenta una tecnica innovativa denominata Cottura Periodica. Il principio è tanto semplice quanto ingegnoso: cuocere l’uovo alternando brevi immersioni di 2 minuti in acqua calda (100 °C) e 2 minuti in acqua fredda (30 °C), per un totale di otto cicli, equivalenti a 32 minuti complessivi. Questo trattamento termico ciclico genera all’interno dell’uovo un profilo di temperatura controllato che consente di raggiungere circa 85 °C nell’albume, favorendone la coagulazione, e 65–67 °C nel tuorlo, la temperatura ideale per mantenerne la cremosità, senza la necessità di separare le due componenti.

L’idea prende ispirazione da processi di lavorazione dei materiali, dove condizioni variabili nel tempo vengono impiegate per modulare proprietà come la densità o la morfologia. Applicando questo concetto alla cucina, è stato simulato il trasferimento di calore nell’uovo mediante un programma di modellazione e simulazione matematica, con ottimi risultati: il profilo termico risultante è altamente controllato e predicibile.

La prova del cuoco… e dello spettrometro

Per validare la teoria, le uova sono state cucinate con quattro diverse tecniche: bollitura classica (12 minuti a 100 °C), cottura soft (6 minuti a 100 °C), sous vide (60 minuti a 65 °C) e cottura periodica (Figura 1).

Figura 1. Diverse modalità di cottura dell’uovo esplorate Copyright Communications Engineering.

I risultati sono stati analizzati con metodi avanzati: FT-IR per valutare il grado di denaturazione proteica, analisi sensoriale e della consistenza, 1H-NMR e spettrometria di massa ad alta risoluzione per il profilo nutrizionale.

I risultati permettono di stabilire che con la cottura periodica si ottiene un albume ben cotto e un tuorlo cremoso, bilanciando consistenza, sapore e valore nutrizionale. La cottura periodica ha preservato meglio alcune molecole bioattive, in particolare i polifenoli e gli amminoacidi essenziali (come la lisina e e gli altri amminoacidi a catena ramificata), che in altre modalità risultano degradati.

Dalla cucina al laboratorio… e ritorno

Oltre al fascino di poter cuocere un uovo “scientificamente perfetto”, questo studio mette in luce l’importanza della chimica e dell’ingegneria nei processi alimentari. La ricerca suggerisce che un controllo più fine delle condizioni termiche può avere ricadute non solo sul gusto, ma anche sulla qualità nutrizionale e la sicurezza alimentare. E non solo: la periodicità termica è un approccio applicabile anche in ambiti diversi dalla cucina, come la cristallizzazione, la polimerizzazione e la lavorazione di materiali.

In conclusione, questo lavoro, è un esempio brillante di come concetti avanzati possano trasformarsi in soluzioni pratiche per la risoluzione di problemi quotidiani. È anche un invito a guardare alle nostre cucine come laboratori chimici, dove ogni gesto, anche quello di bollire un uovo, può nascondere affascinanti complessità.

[1] Emilia Di Lorenzo, Francesca Romano, Lidia Ciriaco, Nunzia Iaccarino, Luana Izzo, Antonio Randazzo, Pellegrino Musto, Ernesto Di Maio Periodic cooking of eggs. Commun Eng 4, 5 (2025).https://www.nature.com/articles/s44172-024-00334-w

*Nunzia Iaccarino, laurea e PhD CTF a Napoli, dal 2021 è ricercatrice di chimica analitica presso il dipartimento di Farmacia dell’Università di Napoli. Si occupa di  metabolomica mediante spettroscopia NMR e spettrometria massa.

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